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Compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e lo svolgimento di attività di lavoro subordinato

 

I n questo articolo si approfondisce, riprendendolo, il parere dell’INPS circa la regolare compresenza di un rapporto di amministratore o presidente di azienda e di un simultaneo rapporto di lavoratore subordinato alle dipendenze dell’azienda stessa. A partire dagli anni Novanta la giurisprudenza della Suprema Corte si è uniformata al criterio in base al quale l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, non esclude in astratto la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.
Con le sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013, la Suprema Corte afferma che “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa e d il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche tipiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente”.
La carica di presidente non è quindi considerata, di per sé, incompatibile con lo status di lavoratore subordinato, poiché anche il presidente della società può essere soggetto alle direttive dell’organo collegiale come ogni altro membro del consiglio di amministrazione.
Il caso dell’amministratore unico, invece, porta con sé diverse ragioni ostative all’instaurazione del rapporto da dipendente: essendo egli il detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria della società, come suoi sono i poteri di controllo, disciplina e comando, esiste un’incompatibilità intrinseca tra la carica e il ruolo di lavoratore dipendente della società.
Va inoltre valutato il ruolo di amministratore delegato: se la delega attribuita non è generale (quindi se l’amministratore non ha la facoltà di agire senza il consenso del c.d.a.), ma parziale, in seguito ad una valutazione del caso specifico, non è da escludere l’ammissibilità del rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso del socio unico, invece, si deve necessariamente escludere la configurabilità del rapporto di lavoro subordinato, poiché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle sue mani esclude l’effettiva soggezione del socio alle direttive di un organo societario.
A chi spetta dimostrare la genuinità del rapporto di lavoro subordinato? L’onere della prova, nei casi in cui la coesistenza è in astratto ammissibile, spetta sempre al lavoratore. Sempre secondo la Corte, chi intende far valere il requisito del vincolo di subordinazione quale legittimante del rapporto subordinato deve provare l’effettivo assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società. Per una valutazione più puntuale della situazione esistente, si valuteranno anche altri elementi, quali: la periodicità e la predeterminazione della retribuzione, l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro, l’assenza di organizzazione imprenditoriale, la gestione del rapporto subordinato (desumibile dal godimento di ferie, retribuzione della malattia, ecc..).